martedì 20 settembre 2016

Un caloroso saluto a tutti!

Oggi mi ispiro al video che ho postato per introdurvi alla lettura di un libro...

 

Nel video il minore afferma di aver abbandonato gli studi il secondo anno di frequenza di un Istituto tecnico...Ecco, mi soffermo su questo punto.
L'"abbandono scolastico precoce"  è spesso l'evento critico alla base di un percorso di vita deviante, lo afferma anche Carla Melazzini nel suo libro "Il principe di Danimarca" .

Risultati immagini per il principe di danimarca libro

C’è chi ha scritto che “Insegnare al principe di Danimarca” emoziona come tanti anni fa la “lettera” di Don Milani, ma questa è un’altra storia, ed è ambientata nelle periferie di Napoli. Fiorella Farinelli l’ha letta per Education 2.0. Il libro è di Carla Melazzini, curato da Cesare Moreno ed edito da Sellerio.


“Insegnare al principe di Danimarca”, uscito a giugno per Sellerio , è un libro che gli insegnanti farebbero bene a leggere. Ma non è scontato. A presentarlo, per il momento, non sono state riviste e siti che si occupano di scuola. Ne hanno scritto invece Repubblica, Internazionale, il sito di temi economici Sbilanciamoci, il quindicinale Rocca della Cittadella di Assisi. Ne scriverà anche Sapere, rivista di divulgazione scientifica, e siti e giornali di associazioni del volontariato sociale. Probabilmente prima o poi anche qualche testata “scolastica”, ma il ritardo fa pensare. Il fatto, curioso ma neanche tanto, è che qui si parla di educazione, e non di scuola. Non di discipline o di strumenti, ma di persone. E di una scommessa educativa che si può giocare solo destrutturando radicalmente l’apprendimento di tipo scolastico. Agli insegnanti di oggi può piacere? Chi scrive – l’insegnante di secondaria superiore Carla Melazzini, prestata per 11 anni a “Chance”, il progetto di recupero della scuola media per ragazzi napoletani che l’hanno abbandonata – sembra dubitarne. Fin dal titolo. “Un insegnante di media cultura e umanità è presumibilmente disponibile a commuoversi sul dramma del giovane Amleto, e a riconoscere le ragioni dei suoi atti, anche i più estremi... ma quanti insegnanti sarebbero disposti a riconoscere i sentimenti di un adolescente di periferia che vive i tradimenti con l’intensità e la consequenzialità del principe di Danimarca?”. Già, quanti insegnanti sono disposti a cercare un rapporto profondo con le periferie della città e con le periferie dell’animo degli adolescenti “per stabilire con loro un dialogo educativo e di vita”? Non molti, si direbbe, guardando ai numeri del fallimento scolastico precoce nelle metropoli meridionali. Non nei quartieri degradati della Napoli un tempo industriale e operaia, oggi ridotti da una disastrosa deindustrializzazione a teatro di guerra di bande criminali. Eppure è da lì che bisogna passare quando gli studenti il bisogno di imparare l’hanno perso, bruciato da frustrazioni e povertà, insidiato dalla prossimità con la violenza e le brutalità in famiglia e per strada, frustrato da una scuola che “gli parla sopra”, da “un’istruzione imposta, che non buca la superficie”, da un’istituzione che non sa fare altro che bocciarli. Una volta, e poi ancora un’altra. Provare a tirarli fuori si può, ma le storie di formazione – e l’“apprendistato” di un gruppo di insegnanti che il metodo se lo inventano passo passo – descrivono passaggi tormentati e difficili. Melazzini scrive parole asciutte, senza retorica e senza indulgenze. Lo sguardo antropologico, a tratti psicoanalitico, svela verità sgradevoli e lontane dalle rassicuranti analisi della sociologia dell’educazione. La povertà che è anche dipendenza, e attaccamento ai suoi “vantaggi secondari”. Le mamme spesso oscuramente ostili a successi scolastici che potrebbero costringerle a prender atto dei propri fallimenti. Tanti ragazzi tentati di uscire dalla fragilità con l’affiliazione a un “Sistema” che, prima ancora che soldi e moto costose, garantisce il “rispetto”. Tante ragazze (40 gravidanze su 600 allievi passati da Chance) strette tra il modello femminile di mamme, nonne, bisnonne e quello che l’istruzione promette, un lavoro onesto, l’autonomia dai maschi di famiglia, la libertà di scegliere un’altra via. “Solo lentamente ci siamo resi conto di quanto la nostra scuola, proprio perché accogliente, potesse essere percepita come pericolosa, aprendo prospettive di relazione e di vita sentite come inaccessibili”. 
Eppure ci sono anche i successi, sostenuti da metodi didattici che bisognerebbe usare anche con studenti che non sono gli “spostati” di Barre, Scampia, Ponticelli. Quelli per esempio dei bienni dei tecnici e professionali di periferia, da cui Melazzini proviene. Lucide ed esemplari le pagine sull’insegnamento dell’italiano. Dal chiasso alla parola. Dai gesti e dalle urla al bisogno di una lingua capace di mettere ordine nel caos delle emozioni. Dalle grafie smozzicate di un’alfabetizzazione scadente ai miracoli di correttezza e nitore restituiti dagli schermi del computer. Dall’incapacità di controllarsi alla capacità di misurarsi con il clima e le regole degli esami finali. Tutto dev’essere conquistato poco alla volta, tra progressi e ricadute . Anche se c’è chi ha scritto che “il principe di Danimarca” emoziona come tanti anni fa la “lettera” di Don Milani una professoressa, non siamo in quella canonica in cui le differenze di classe sembravano spiegare tutto e in cui le 1000 o 2000 parole per riuscire nella scuola e nella vita erano un obiettivo forte e condiviso. Insegnare è difficile, non solo nelle periferie napoletane, e non si può senza educare. E a educare non si riesce se non si costruisce un dialogo “autentico”. Anche così però non tutti arrivano in porto. E allora si impara a ridimensionare “l’onnipotenza pedagogica, l’idea che basti insegnare in modo efficace e tutto si risolve”. Si torna a pensare che “finché non si opera un cambiamento di contesto è difficile il cambiamento individuale” … “abbiamo imparato a dire che un compito viene affrontato solo quando è psichicamente sostenibile”.

Storie di formazione che dicono molto anche a chi l’insegnamento non lo svolge in contesti così estremi. Eppure dopo 11 anni di esperienza, molte elaborazioni utili e molti risultati promettenti, Chance non c’è più, essendosi una dopo l’alta defilata ogni istituzione locale e nazionale che l’avevano resa possibile. Anche Carla Melazzini se ne è andata per sempre, nel 2009. Una mini-Chance è tornata però a vivere, per l’impegno del “maestro di strada” Cesare Moreno e con il supporto economico di Fondazioni private. 


sabato 17 settembre 2016

L'APPROCCIO CON I MINORI DETENUTI

PRIMA...

Prima di entrare tra quelle mura e dar inizio alla mia esperienza di tirocinio ero divisa tra due sensazioni contrastanti:


-  l'una di ENTUSIAMSO, di voglia di entrare e scoprire quel mondo del sommerso...di cui poco si conosce, e del quale, le cronache giornalistiche, spesso, aprono uno spiraglio in occasione di approfondimenti legati a "casi medatici", piuttosto che per una specifica finalità informativa.




 
- l'altra di TIMORE, legato all'utenza del tutto particolare con cui avrei dovuto interagire...
si tratta comunque di persone che hanno commesso reati di diverse gravità e tipologie.


...DURANTE...

l'Entusiasmo mi ha sempre accompagnata durante lo svolgersi dell'esperienza, il timore invece, ha ceduto il passo al coinvolgimento, all'ascolto, alla messa in discussione personale.
Ma anche,  alla scoperta di minori segnati da percorsi esistenziali tortuosi, paradossalmente "ricchi" di "povertà" e di "assenze":
- assenze relazionali, 
- assenze di adulti di riferimento significativi, 
- più in generale privi di famiglie (frammentate da litigi, abusi a più livelli...),
-mancanza di "contesti sani" (ambiente socio-culturale) capaci di sopperire alle gravi lacune educative familiari...

Le loro paure, i loro bisogni, le loro ambizioni, sono quelle tipiche dei ragazzi "fuori le sbarre":
- hanno paura dell'abbandono, (della famiglia, della fidanzata, degli amici...);
- desiderano essere "alla moda": proprio come la grande maggioranza degli adolescenti (cappellini griffati, scarpe di tendenza, t-shirt indossata dal cantate x...;
- sono ambiziosi: c'è chi vuole diventare pizzaiolo, chi insegnante, chi addirittura poliziotto...!

Il mio essere "DONNA" è stata una variabile degna di nota, (cosa che non avevo preso minimamente
in considerazione) in quanto, in un contesto prevalentemente caratterizzato dalla componente "maschile", e capace di mettere a nudo le proprie fragilità personali, la donna viene investita anche da ASPETTATIVE "MATERNE" ...(di ascolto, richiesta di consigli...).
Questo accadeva con me, ma credo di poter affermare la stessa cosa anche per altre figure femminili presenti (mediatrice culturale, educatrici...) .

il rapporto che si è instaurato con i minori, si è basato sul RISPETTO reciproco, infatti non ho incontarto particlari difficoltà relazionali.
Questi ragazzi, individuano le paure dei propri interlocutori, ancor più se quest'ultimi tentano di nasconderle, è quindi imporatante essere una persona capace di infondere  sicurezza, e capace di mantenere self control, in questo modo è più facile ispirare in loro il desiderio di aprirsi al dialogo. 
In generale la strategia comunicativa che ho adottato è stata quella di  PORMI IN ASCOLTO, (piuttosto che porre domande) ceracando poi, di dare loro una restituzione di valore.

DOPO...

Ciò che mi rimane di questi ragazzi, è che non sono altro ragazzi, nel pieno dell' adolescenza... con le loro incertezze e le loro difficoltà, connesse alla costruzione della propria identità, identità che, già ha conosciuto circuito del il sistema penale...
Proprio per questo, devono lavorare molto su se stessi, per avviare un FECONDO processo di CAMBIAMENTO e  per essere autori di un'AUTENTICA RINASCITA.
 

lunedì 5 settembre 2016

cosa centra Jhon Dewey?!

Buongiorno! 
in un post precedente vi avevo menzionato John Dewey,
credo che un approfondimento sulla sua teoria sia dovuto!
perchè spesso, i ragazzi detenuti rappresentano il fallimento di una società...che non ha saputo normare, "fermare", od orientare legalmente un suo membro.
 

domenica 4 settembre 2016

SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA ALLA PROVA

Buonasera carissimi!

In questa domenica di Settembre, dedico un post a Silvia e Federico,
  perchè ritengo che questo breve video possa rappresentare un feed-back fecondo
                  rispetto agli argomenti trattati nei commenti al post "GIUSTIZIA RETRIBUTIVA"
                                      

                                TRATTO DA:https://www.youtube.com/watch?v=KcoRrZ3EASg

venerdì 2 settembre 2016

IMPARARE FACENDO... per imparare un lavoro, ma soprtattutto per IMPARARE A VIVERE

Le attività che posso essere proposte
 in un carcere minorile!
...quanta verità nelle parole di John Dewey, Maria Montessori...
l'esperienza, "il fare" sono agenti edificanti per la persona, che, per scoprirsi, deve mettersi alla prova, sbagliare, riprovare...in definitiva, trovare se stessa!

giovedì 1 settembre 2016

GIUSTIZIA RETRIBUTIVA O..... GIUSTIZIA RIPARATIVA?

Questo post lo dedico in particolare a due persone:
- Anonimo: che ha sollevato una questione estremamente interessante, (quello della CERTEZZA DELLA PENA) nel suo commento al post "LO  SAPEVATE CHE IL CARCERE è UN'ISTITUZIONE TOTALE?"
- Eleonora: che nel primo post "BENVENUTI NEL MIO BLOG" aveva gettato le basi per un approfondimento in merito al tema "giustizia riparativa" senza sapere che intendeva proprio questo parlando dell'esigenza di "Fare inversione di marcia" !

Sento di rispondere facendo riferimento ad un convegno al quale ho partecipato,
e dal quale sono tornata più consapevole, meno ibrigliata nelle mie posizioni,
poco lungimiranti, forse perchè "viziate" da un'opinione pubblica incalzante,
e da sentimenti umani di rabbia e disappunto nei confronti di condanne "paradossali".
-  forse pochi sanno che nel nostro Paese ormai da quarant'anni la pena, la condanna, 
non dimora più esclusivamente all'interno del carcere (misure alternative alla detenzione).  
Spesso l'opinione pubblica ritiene che il "non carcere" corrisponda a "non pena", 
si ritiene quindi che, se una persona, autore di reato, viene condannato, 
e la sua condanna non viene eseguita all'inteno del carcere si sia in presenza di un paese che non esercita la "Giustizia". 
sembra che la DOMANDA DI GIUSTIZIA/CERTEZZA DELLA PENA 
sia una domanda che può  ritenersi soddisfatta solo se “CONDANNA = CARCERE”.
C'è ancora difficoltà a considerare,che oltre alla pena detentiva esistano 
misure alternative alla detenzione.


è come se una condanna, non possa avere un futuro che consente un percorso
dove da un "prima" si procede verso un "FUTURO" che contiene anche
la SPERANZA DI CAMBIAMENTO.
la GIUSTIZIA RIPARATIVA è un nuovo paradigma, che cerca di farsi spazio
all'interno del nostro Paese, ed è quel modello di giustizia dove l'attenzione
non viene posta esclusivamente al passato, (cioè al tempo in cui è stato commesso il reato) 
ma viene posto in un presente che, facendo i conti con il passato, 
si orienta verso  il futuro (come futuro in cui è possibile ristabilire i legami che il compimento del reato ha reciso,ha sospeso, ha violato).
mentre la giustizia RETRIBUTIVA è una giustizia che punisce,
 attraverso una pena e una condanna definitva; 
la giustizia riparativa si pone invece come obbiettivo quello di consentire una
riflessione sul reato, sul significato che questo ha avuto nella relazione con le altre persone
e la più ampia comunità.
la Giustizia riparatva pone l'accento sull'esigenza di RIPARARE IL DANNO ARRECATO
e quindi di chiedersi: qual'è il danno?  

ANCORA, in merito alla delicata questione "certezza della pena" sento di dire che: 
talvolta si rischa di far corrispondere l'idea archetipica di "Giustizia",
alla necessità concreta di rinchiudere le persone autrici di reato in carcere, 
e lanciare le chiavi...

In merito a questo delicato argomento, posto un video, 

spero possa risultare interessante!



Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=Q_iZIoLCSII

mercoledì 31 agosto 2016

ISTITUZIONE TOTALE

...sapevate che il carcere è...

 un'ISTITUZIONE TOTALE

questa definizione è stata coniata da

Erving GOFFMAN  

egli spiega il significato sottostante a questa definizione, in apertura di "Asylums"...

"Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di resistenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. 
Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere piú tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle istituzioni sociali in generale, e degli ospedali psichiatrici in particolare, con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell'internato".

 Ma cos’è una istituzione totale? 

Goffman indica con questa definizioni non solo le CARCERI ed i MANICOMI, ma tutti gli Istituti nei quali di norma non si accede per libera scelta personale.
 “Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse autorità.... Caratteristica principale delle istituzioni totali può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abitualmente separano queste tre sfere di vita. 
Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito…
Per ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione”.





martedì 30 agosto 2016

I VOLONTARI 

 
Questo post lo dedico a Sara, che, dopo la lettura del post "APRITE QUESTA PORTA" ha lasciato un commento parlando di PONTI creati dai volontari che operano in carcere in maniera del tutto gratuita.


 PAPA FRANCESCO definisce il loro operato come 
"OPERE DI MISERICORDIA"
 VAI AL LINK 

e Guardiamo assieme il video dell'ANGELUS di Domenica 28 Agosto 2016.

BUONA VISIONE

A Sua Immagine - Recita Angelus Da Piazza San Pietro Del 28/08/2016

https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=video&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjS_dP8w-jOAhXK7RQKHWvOBWAQuAIIHzAA&url=http%3A%2F%2Fwww.televideoteca.it%2Fa-sua-immagine%2Frecita-angelus-da-piazza-san-pietro-del-28-08-2016-233641&usg=AFQjCNGweJS7HXMhD3wKQwApUhnasQVH9w&sig2=lbLdlU57pMj0Lar_vqqLjQ

al minuto 7.10 Papa Francesco parla di "Opere di misericordia" riferendosi 
"a chi va ad incontrare gli ammalati, i carcerati..." 
TRATTO DA:
www.televideoteca.it/.../recita-angelus-da-piazza-san-pietro-del-28-...
 

lunedì 29 agosto 2016

 APRITE QUESTA PORTA!!!

Bene ragazzi, i tempi sono muri per fare ingresso
in questo piccolo grande mondo che abbiamo iniziato a conoscere!
Scoprirete che è un luogo irrorato da inizitive territoriali, varcato da volontari e professionisti... tutti mossi dall'intento di non lasciare isolati i minori disagiati, e di dare loro il proprio contributo formativo, in una logica di continuità dentro-fuori!
Un saluto, Paola

Vi auguro BUONA VISIONE!


 TRATTO DA https://www.youtube.com/watch?v=AjLJxQFIWGE
L'Educatore
Ciao e......... Ben trovati!
Il  viaggio che ci sta guidando alla conoscenza delle professionalità che incontra un minore all'interno di un Istituto Penitenziario Minorile, ci sta insegnando che sono molteplici, ognuna con il suo specifico ambito di pertinenza (sanitario, pedagogico...).
L'Educatore è un petalo di questa rosa, e in questo contesto viene qualificato come "Funzionario della Professionalità Pedagogica" (F.P.P) .
Perchè incontriamo questa figura in un carcere minorile?!?
Vi do un suggerimento di tipo normativo.....ART.27 della Costituzione, ricordate?"la pena deve tendere alla rieducazione...." come detto e sottolineato in uno dei primi post introduttivi!
Non vi elenco tutte le attività che lo vedono partecipe e le mansioni che gli competono, poichè rischierei di essere noiosa e poco efficace.  
Ma vi rendo partecipi delle molteplici dinamiche in cui un educatore è implicato e di cui ho preso parte in qulità di tirocinante e, durante le quali, ho avuto un ruolo di osservatrice partecipante.
-        colloqui di sostegno con i detenuti,  soprattutto prima e dopo possibili eventi critici (colloqui  visivi o telefonici con familiari,  udienze…);
-        ascolto delle richieste del minore e, se possibile, loro soddisfazione (es: chiamare la madre del minore al fine di far recapitare allo stesso vestiario o pecunia);
-        colloqui di primo ingresso in IPM, il quale è finalizzato a comunicare al minore dove si trova (anche tramite l’uso di una cartina geografica), per quanto ci rimarrà e si cerca di attivare tempestivamente i contatti con l’esterno, più nello specifico con la famiglia e l’avvocato difensore (viene chiesto se si desidera scrivere una lettera e/o ricevere qualcuno ai colloqui visivi e/o sentire qualcuno ai colloqui telefonici), l’educatore aiuta il detenuto a compilare l’Istanza per i colloqui visivi/telefonici. Viene spiegato chi sono le figure che incontrerà (personale medico, insegnanti, operatori, polizia penitenziaria, attività che sono proposte…). Durante il colloquio si cerca di rassicurare il minore, vengono spiegati quali sono i suoi diritti e i suoi doveri (viene consegnata  La carta dei diritti e dei doveri dei minorenni che incontrano i servizi minorili della giustizia in lingua lui comprensibile), come il diritto a praticare la propria religione, a proseguire gli studi e la formazione, a richiedere un regime alimentare particolare  e solo per citarne uno, il dovere di rispettare i luoghi e le persone;
colloqui nel Centro di Prima Accoglienza al minore colto in flagranza di reato, per dare lui sostegno, per cercare di reperire informazioni in merito alla sua persona (dati anagrafici),  situazione scolastica e socio-demografica, composizione familiare, percorso migratorio, motivi del reato; si chiedono ai minori se possono fornire i recapiti telefonici dei familiari in modo da avviare quanto prima contatti con gli stessi. Inoltre il colloquio si propone di far capire al minore dove si trova, per quale ragione (il C.P.A non è un carcere, ma solo un luogo in cui  sei ospitato in attesa dell’Udienza di Convalida) e per quanto ci rimarrà ( max 96 ore), si invita il ragazzo a non farsi del male e a non tentare di fuggire;
- osservatrice nelle equipe multidisciplinari,  e in alcuni casi, aiuto-relatrice delle stesse;





- equipe multidisciplinari ah hoc (Assistente sociale, Psicologo, educatore, psicoterapeuta) per il progetto educativo individualizzato (P.E.I) di un minore, in seguito condiviso con la famiglia, l'avvocato di fiducia, e infine, con il minore destinatario del progetto;
 
- Partecipazione alle giornate dedicate all’ingresso delle scuole superiori all’interno dell’IPM  in seno al progetto “Voci di dentro, voci di fuori” percorso di educazione alla cittadinanza basata sul confronto attivo tra studenti degli Istituti superiori della provincia e i ragazzi detenuti.
- Condivisione delle note informative/relazioni di aggiornamento che vengono redatte sulla situazione intramuraria del detenuto.

Queste, alcune tracce di esperienze che ho vissuto e che mi hanno resa una persona più ricca sotto il profilo formativo e personale. Ciò di cui non vi ho ancora parlato infatti è lo spessore morale, culturale professionale ed umano che ho colto nelle persone con cui mi sono relazionata...i diversi stili comunicativi cui mi sono imbattuta...le mie modalità partecipative... è stato un vero viaggio di conoscenza a più livelli ma, in definitiva, anche di me stessa!!! calata in un contesto inedito, retto da dinamiche, anche gerarchiche, che avevo conosciuto solo nei manuali.


alla prossima!
Paola

domenica 28 agosto 2016

Polizia Penitenziaria
 
Per introdurvi questa nuova figura professionale che è in primis un corpo di Polizia, condivido i contenuti di un'intervista che ho somministrato ad un agente di polizia penitenziaria con una notevole anzianità di servizio.

 Si tratta di un agente con 33 anni di servizio alle spalle, anzianità di servizio cui ha dato lustro sovente nel corso del nostro colloquio.
Ho chiesto di edulcorarmi rispetto al suo modo di rapportarsi con i detenuti; la prima parola che ha menzionato, con fermezza, è stata “Rispetto” spiega che tutto il rapporto parte da questo concetto! in quanto i  minori ristretti sono persone, prima che detenuti.
L’agente ritiene non debbano mai mancare tre elementi fondamentali nel rapporto con i reclusi, i quali elementi, si rivelano necessari per poter svolgere la sua professione nel lungo periodo, ovvero: RISPETTO, DIALOGO e BUON SENSO. Sottolinea il fatto che se viene meno una sola di queste tre componenti è utile cambiare mansione per la propria salubrità psichica e per il bene dei detenuti che sono soprattutto minori in crescita.
Spiega che, per potersi rapportare correttamente con i minori è utile lasciare i problemi personali fuori dall’ IPM in quanto, in un contesto del tutto particolare come quello intramurario, di per sé chiuso, tali tensioni rappresenterebbero una miccia pronta ad innescare un caos interno alla struttura stessa.
A questo proposito, narra che, durante la sua carriera lavorativa ha vissuto un momento particolarmente difficile, causato da fattori extralavorativi. In quel momento ha capito che tali problematiche avrebbero avuto delle ripercussioni altrettanto negative nel contesto lavorativo e che era giunto per lui il momento di prendersi una pausa, per tornare serenamente al suo lavoro.
Ho cercato di rinforzarlo in questo senso poiché, accorgersi di “non farcela”, oltre che un punto d’inizio è un punto d’arrivo. Una conquista frutto di riflessione personale.
L'intervistato, è un agente che entra nella cella, si siede nella branda con il detenuto, sa ascoltarlo, permette lui di aprirsi e di parlare (si tratta spesso di minori con un background personale fatto di deprivazioni, violenze, abbandoni, cui spesso non hanno dato voce). Il tutto sempre all’interno di un confine, una linea di demarcazione necessaria, (tu detenuto, io agente, ma entrambi persone umane) utile per creare un clima di rispetto.
Racconta di non accettare che i giovani appoggino la mano sulla sua spalla. Spiega che, a suo avviso, farsi appoggiare la mano sulla propria spalla dal minore, simboleggi la sua sottomissione all’autore di tale gesto, fatto questo, del tutto inaccettabile. Verrebbe meno la differenza di ruolo, quella giusta distanza, il rispetto dell’autorità che invece deve essere riposto in un agente, e più in generale nelle persone.
Le situazioni di tensione possono essere arginate mediante l’uso della forza fisica, ma si tratta dell’estrema ratio.
Ho chiesto perché alcune volte gli agenti indossano l’uniforme e altre volte no. Ha spiegato che per non “traumatizzare i detenuti”, gli agenti in sezione non la indossano e che c’è un decreto a riguardo.
Gli agenti che indossano l’uniforme sono invece quelli collocati in portineria, ufficio matricola e ufficio comando. L'intervistato sottolinea che comunque sotto alla divisa c’è una persona (ha portato la sua mano al cuore, battendola).
Sostiene che gli agenti di polizia penitenziaria siano sottoposti a tensioni particolari, le quali possono avere effetti marcatamente negativi per la sanità mentale personale. Per questa ragione i loro turni lavorativi coprono una fascia oraria di durata massima non superiore alle 6 ore. 

Mi sembra doveroso ricordare le vittime del terremoto nelle Marche, e ringraziare tutte le persone che a diverso titolo si sono messe a disposizione per aiutare concretamente, con le proprie mani, con la propria professionalità, mettendo a disposizione i propri mezzi. Un contributo significativo in questo senso è stato offerto anche dal corpo di polizia penitenziaria. Per ulteriori info vai al link: http://www.polizia-penitenziaria.it/


Alla prossima! Paola

sabato 27 agosto 2016

Lo Psicologo

Quando un minore entra nel carcere viene garantito lui un servizio di sostegno psicologico.
In un primo colloquio conoscitivo, viene generalmente sondato qual'è lo stato d'animo provato dal detenuto conseguente all'ingresso in Istituto e si cerca di capire se vi sono fattori di evidente alterazione psichica tali da indurre ad istituire la Grande Sorveglianza. Fattori che potrebbero indurre il minore a compiere gesti estremi come: atti autolesionistici (tagli, pugni scagliati contro il muro...) e/o suicidiari. L'agente di polizia penitenzaria preposto, avrà pertanto il compito di vigilare 24 ore su 24 il detenuto. Spesso purtroppo, i minori che entrano nel circuito penale hanno problemi legati alla dipendenza da sostanze stupefacenti, piuttosto che alcoliche. Si tratta di detenuti aventi esigenze del tutto particolari, in quanto oltre alle difficoltà legate alla carcerazione (paura, smarrimento...) si sommano le conseguenze correlate all'astinenza psico-fisica da sostanze appunto.
In questi casi, ove possibile, intervine lo psicologo del Serd (Servizio per le dipendenze), per agire in maniera ancor più competente.
Il carcere in definitiva, offre a questi minori in crescita, adulti di domani, cure, ascolto e sostegno, con l'arduo e lungimirante obbiettivo di rernderli persone libere, risocializzate quindi reinserite nel tessuto sociale.
....nel prossimo post vi presentrò una nuova figura professionale...del tutto particolare... vi do solo tre indizi per scoprire di chi si tratta...
come indizio vi fornisco le loro preziose parole d'ordine: Rispetto, Dialogo e Buon senso.
a domani! Paola

 

 

venerdì 26 agosto 2016

Il Medico

  • Esegue visite mediche generali di Primo ingresso (in questo frangente si compila la cartella clinica);
  • Per ogni detenuto si apre un Diario Sanitario (il quale contiene tutte le informazioni mediche come: esami sangue/urine, drug test….)
  • Esegue visite mediche quotidiane o periodiche, le quali possono essere richieste dagli stessi detenuti; il “Modello 99” è un registro sul quale vengono annotate le visite e le osservazioni proposte dal sanitario;
  • È responsabile dell’igiene ambientale e degli alimenti (io stessa ho assistito, all'intervento del sanitario, chiamato a valutare gli alimenti secondo alcuni parametri - ad es: temperatura, livello di cottura- ).
I sanitari possono essere: infermieri, sanitario del Ser.T , medico. 
I detenuti hanno un’esenzione totale dal tiket sanitario, hanno la possibilità di essere ospedalizzati se necessario e possono essere trasportati in ospedale dal servizio 118, godono pertanto di un servizio medico 24 h/24h . 

I detenuti vengono quindi visitati e assistiti durante tutto il periodo detentivo. Sovente vengono richiesti farmaci che favoriscano un buon riposo notturno, perchè la condizione di isolamento che si vive in un carcere soprattutto agli inizi, o in concomitanza di eventi particolari (udienze, colloqui con i familiari) può disturbare il sonno. Naturalmente è il medico a decidere se è opprtuna la somministrazione di tali farmaci.
...il viaggio continua...
Paola

giovedì 25 agosto 2016

La possibilità...

Come detto, il carcere è l'estrema ratio, in quanto spesso l'ulteriore percorso del procedimento penale può causare effetti pregiudizievoli per le esigenze educative del minore, nonchè per lo sviluppo armonico della sua personalità, invero può minarne l’immagine sociale (Etichettamento).
Operativamente, l'obiettivo  è quello di favorire una rapida uscita del minore dal circuito penale non interrompendo i processi educativi in atto attraverso alcune misure (tratto da www.gistizia.it).

Io vi parlerò di una sola misura a titolo esmplificativo,  ovvero quella prevista dall'Art.28 del DPR 448/88 e denominata SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA ALLA PROVA, che prevede la sospensione del processo a carico del minore e la sua "messa alla prova" al fine di favorire la sua responsabilizzazione e permettere di offrire lui una risposta educativa individualuzzata, la quale viene elaborata dai servizi minorili, dall'aministrazione della giustizia, in collaborazione con servizi socio-assistenziali degli enti locali e viene accordata anche con il minore interessato. Questa misura viene riservata solo ai minori nei quali vengono riscontrate da parte dei giudici, potenzialità positive che, adeguatamente stimolate e sostenute, possono ampliarsi e svilupparsi. La prova può avere una durata che varia da 1 a 3 anni, durante questo periodo al minore vengono affidati degli impegni come il volntariato, la stesura di una lettera di scuse...
Al termine, se la prova ha esito positivo, viene dichiarata l'estinzione del reato, che non verrà indicato nel casellario giudiziario, diversamente se avrà esito negativo, il processo verrà ripreso da dove era stato precedentemente sospeso.

Nei prossimi post vi parlerò delle figure professionali che ho incontrato e che popolano un qualsiasi Istituto Penitenziario Minorile (IPM)...e preparatevi....perchè sono parecchie!

Ricordate, ogni vostra curiosità sarà anche la mia!
a presto, Paola

mercoledì 24 agosto 2016

 

L'articolo 27 della Costituzione recita:

La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.
 


Ritengo che questo articolo possa rappresentare la giusta chiave di lettura per avvicinarsi alla dimensione carceraria, in quanto ci fa comprendere che il nostro ordinamento intende fare dell'esperinza detentiva, un'occasione di recupero del minore deviante, un'occasione di rieducazione.
La detenzione è comunque da intendersi l'estrema ratio, l'ultima spiaggia...
Nel prossimo post vi presenterò una misura alternativa al carcere...
a domani! Paola

martedì 23 agosto 2016

BENVENUTI


Un cordiale saluto a tutti, e benvenuti nel mio blog! 
In questo spazio virtuale, affronterò il delicato tema dell’Educazione intramuraria, ovvero dell’educazione che si realizza in un contesto del tutto particolare, date le sue condizioni di limitatezza e di ristrettezza della libertà personale, quale il carcere minorile. Ho scelto di trattare questo argomento poiché ritengo che il carcere sia un luogo che permette di avviare una riflessione profonda sul valore della Libertà. Esso è un luogo deputato alla detenzione di minori che hanno commesso un reato, tuttavia il pregiudizio porta a ridurli al solo status di “delinquenti da rinchiudere”.  Come futura educatrice intendo liberare la mia mente da sterili e miopi pregiudizi; ho scelto pertanto di investire il tempo di tirocinio formativo previsto dal mio corso di studi universitari, nell’Istituto Penale Minorile “S.Bona” di Treviso, per fare esperienza delle potenzialità insite nell’educazione,
 ovvero per prendere atto di quanto e soprattutto in che modo la
Relazione educativa possa rendere sensata, 
piena ed orientata al futuro, 
una vita “ristretta” tra mura e sbarre.
Nei prossimi post cercherò di farvi entrare in questa realtà delicata e poco sondata, cui bisogna accedere in punta di piedi, ricordando che oltre le sbarre ci sono minori da rieducare e da proteggere (anche da loro stessi!) e non solo “colpevoli di reato”.
Spero che il mio blog possa risultare interessante, ma lo diverrà soprattutto grazie a voi lettori, alle vostre domande, alle vostre richieste di approfondimenti, che saranno fonte di accrescimento co-costruito.
Alla prossima! Paola